Mai come oggi il ruolo del giornalismo è decisivo per difendere le nostre libertà, per aiutarci a formare una coscienza critica, per consentire a ciascuno di noi di capire qualche frammento della complessità che ci circonda.
Eppure, in una fase di cambiamenti epocali, il mondo dell’informazione professionale non sembra ancora pronto ad accettare la sfida, ingessato in vecchi modelli, non sempre capace di esercitare pienamente la propria funzione, troppo spesso annacquata in un grande “minestrone” all’insegna del “tutto fa spettacolo”.
Con l’avvento del digitale il giornalismo ha perso il monopolio dell’informazione e l’unica possibilità che gli resta è di alzare il livello qualitativo. Invece assistiamo ad un rincorrersi di volgarità, urla, propaganda e fake news: lo stesso livello del chiacchiericcio isterico e iroso che caratterizza i social.
Invece di puntare su approfondimenti, lavoro di ricerca autonomo, i media professionali troppo spesso preferiscono limitarsi a rilanciare i tweet di qualche politico, i video amatoriale di personaggi che non hanno nulla da dire, ma fanno “colore”, alimentano polemiche.
Invece collocarsi al centro del dibattito, scegliere i temi da analizzare e approfondire, in molti casi giornalisti ed editori si lasciano dettare l’agenda da uffici stampa, portavoce e società di marketing, che costruiscono eventi e notizie da dare in pasto ai cittadini.
Continuando così, sarà missione ardua recuperare autorevolezza; riconquistare fiducia e consenso diventerà un’impresa.
I giornalisti hanno nelle loro mani il futuro della professione, e con esso quello della democrazia faticosamente costruita, dei diritti che, pian piano, i cittadini si stanno vedendo sottrarre da un mondo del lavoro sempre più cinico e meno rispettoso della dignità delle persone; da una società che in nome di un’insicurezza percepita (più che reale) sembra disposta a cedere pezzi rilevanti di libertà (forse senza rendersene conto).
In un mondo in cui chiunque può comunicare direttamente senza mediazioni (ma anche senza contraddittorio e domande scomode, come piace al Potere), l’unica strada è quella di alzare l’asticella, di offrire un “prodotto” informativo originale, unico, rigoroso, attendibile; concentrare le sempre minori risorse economiche nell’esercizio del proprio dovere: verifica accurata, ricerca, analisi, commento, critica; un lavoro basato su dati, non su impressioni ed emozioni. Trascinando gli editori che hanno sempre meno coraggio di investire nell’informazione.
Triste ma vero.
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